Criptovalute e dichiarazione dei redditi: vince l’incertezza

Le criptovalute sono ormai in rapida ascesa, un fenomeno della nuova economia. Una tipologia di beni che ha ovviamente una natura giuridica, ed in particolar modo fiscale. Si deve necessariamente partire da un assunto, fondamentale quanto imprescindibile: le criptovalute oggi sono un fenomeno non solo dell’economia, ma dell’intero mercato. Si tratta di una autentica categoria di beni, sempre più spesso utilizzate per investire e pagare. Le sfruttano tanto gli operatori economici tanto i privati.

Queste non hanno, come è noto, una regolamentazione, quantomeno esaustiva. Né a livello di singole giurisdizione né a livello sovranazionale. Anche in Italia infatti manca oggi un corpus di leggi dedicato alle criptovalute. Le conseguenze derivanti da ciò sono ovvie.

Ancora: le criptovalute sono un sistema. Che, in quanto tale, hanno dei riferimenti giuridici e normativi. Rintracciabili, per esempio, nell’antiriciclaggio per quel che riguarda l’Italia. Si tratta dell’unica normativa che oggi offre una definizione di criptovaluta. Ma dal punto di vista tributario manca una specifica enunciazione del concetto. Come mai?

Criptovalute e disciplina fiscale: cosa sappiamo

Quel che è certo è che manca una disciplina fiscale applicabile alle valute virtuali. Sia una amministrazione finanziaria. Ma esistono ovviamente dei trattamenti fiscali applicabili, seppur in larga parte si tratti di elaborazioni che non convincono compiutamente, in considerazione sia delle caratteristiche dei beni in esame sia delle conseguenze che simili letture hanno in capo agli operatori.

Di certo quel che più desta perplessità è la considerazione generale sulle criptovalute, ritenute di matrice estera. Vi sono dei risvolti operativi con questa considerazione, soprattutto da un punto di vista di monitoraggio fiscale. In non pochi casi, con questa poca chiarezza, si può arrivare a conseguenze sanzionatorie anche di grande rilevanza.

 

Criptovalute e dichiarazione dei redditi: come muoversi

Resta fattuale la crescita costante delle criptovalute, se è vero come è vero che a maggio 2021 il Bitcoin ha toccato quota 42.000 euro. Nel 2016 gli utenti legati a criptovalute erano 5 milioni, la cifra è arrivata ai 100 milioni del 2020. Le percentuali di crescita sono similari, se non in alcuni casi maggiori, per il 2021.  Come forma di investimento, certamente ma anche come metodo di pagamento. Il futuro appare chiaramente all’insegna della moneta virtuale, con buona pace delle banche tradizionali.

Pertanto realtà come USA e Australia hanno già allestito dei programmi per intercettare il gettito delle criptovalute, dunque effettivamente tassabili. E i controlli, in ambedue i casi, sono aumentati anche se probabilmente non basterà.  Il Bitcoin è tassabile e l’IRS considera le partecipazioni in criptovaluta come “proprietà” a fini fiscali, il che significa che la tua valuta virtuale è tassata allo stesso modo di qualsiasi altra risorsa che possiedi, come azioni o oro. E in Italia?

Da più parti si invoca una maggiore stretta sulle monete virtuali. Ad oggi finché si mantengono le criptovalute in portafoglio, al Fisco non si deve nulla se non una semplice informazione in dichiarazione dei redditi. Ma in caso di vendita, il Fisco batte cassa. Se per esempio si è detenuto Bitcoin per un valore di almeno 51.645 euro per più di sette giorni, si paga il 26 per cento sull’eventuale guadagno realizzato con la vendita. Una soglia pari a 100 milioni, ma di vecchie lire. La legge italiana fa riferimento ad una normativa ormai superata che non prevede tassazione per cifre al di sotto dei cinquantunomila euro. E qui a vincere è l’incertezza.