La Cina stoppa il mining e riapre la guerra alle criptovalute

La Cina apre il fronte di guerra sul mining. Il Paese Asiatico non ha mai amato le criptovalute e questo è risaputo. Tutto quello che non è possibile controllare spaventa la Repubblica Popolare. La decisione di vietare di minare le criptovalute, dunque, non sorprende più di tanto. E’ però, l’ennesima picconata alla nascente economia online. La notizia del nuovo strappo di Pechino si è subito diffusa, facendo tremare i possessori di Bitcoin, Ethereum e delle altre criptomonete.

Il documento anti mining

La notizia del blocco dei mining in Cina non è ancora ufficiale. E’ bastato un “foglio di carta” a creare il panico. Si tratta di un documento di programmazione con il quale si apre una consultazione relativa al mining. L’intenzione di stoppare questo fenomeno da parte del governo Xi Jinping, è ancora ipotetica, ma concreta. Se si verificasse un evento simile verrebbe messo in ginocchio tutto il sistema delle monete virtuali. Non è un mistero, infatti, che gran parte delle attività di mining a livello globale è stata realizzata in questi anni proprio sul territorio cinese, in particolare in regioni come Xinjiang, Mongolia Interna, Yunnan e Sichuan. Il motivo è il grande risparmio di energia grazie alla presenza di carbone o impianti idroelettrici. Proprio il dispendio eccessivo di energia sta convincendo il governo asiatico a porre un freno a queste operazioni.

La lotta energetica

L’idea del governo cinese sarebbe quella di aumentare il costo dell’energia elettrica in modo da scoraggiare questo tipo di attività. L’allarme è stato lanciato dal South China Morning Post. Se la cosa andasse in porto è chiaro che si aprirebbe un “conflitto a fuoco” tra le criptovalute e gli altri Paesi che non vedono di buon occhio la sua ascesa.  Non solo: la possibile stretta sulle criptovalute manderebbe in collasso anche le aziende informatiche come NVIDIA, che più di recente ha risentito del rallentamento della domanda di hardware da impiegare nelle mining farm.

Un po’ di numeri

Attualmente  la cinese Bitmain Technologies,è una delle aziende specializzata nella fornitura di apparecchiature dedicate espressamente alle operazioni di mining. Basti pensare che due anni fa controllava il 70% del mercato globale. Nel complesso, si stima che il 74% di tutti i bitcoin vengano prodotti in Cina, attraverso società professionali come BTC.com (17,3%), AntPool (13,3%) e F2Pool (10,5%). Dunque, se il Paese asiatico mantenesse i suoi propositi compirebbe un autogol pazzesco.  E’ proprio il caso di dire “Cui prodest?”, ovvero,  a chi giova la guerra cinese?