Come le criptovalute aiutano l’industria della Cannabis
Alla fine ce l’ha fatta, la California. Dopo Alaska, Colorado e Maine, anche LA e Miami hanno avuto il via libera per legalizzare la cannabis. Ecco: e da quel momento sono pure passati un anno e altri quattro stati, dal Massachussetts a Washington, dal Colorado all’Oregon. Tutti uniti per la cannabis, chiaramente per scopo soltanto terapeutico. Tutti uniti per un’industria che resta tra le principali sul suolo americano, e che nel 2017 ha impiegato 121mila persone per un giro di soldi che ha totalizzato 9 miliardi di dollari, quasi 50 secondo le stime dei prossimi dieci anni. Un’enormità.
E un’enormità è anche la possibilità di crescita di questo settore, che ha portato con sé tante grandi novità: da nuove startup a un mercato che cresce insieme alla sua domanda. Resta solo un problema: alcuni commercianti non possono servirsi di determinati circuiti bancari. Motivo? La ‘Maria’ resta illegale, comunque, per la legge degli States: le banche devono necessariamente sottostare alle normative federali. Doveste comprare dei medicinali con base Fruit Haze, toccherebbe farlo con i contanti. O forse no.
Sì, c’è un altro modo: ci sono le valute digitali. Che vengono sempre in soccorso quando ci sono degli ostacoli finanziari apparentemente insormontabili: tra le criptovalute, infatti, stanno venendo su tantissime monete dedicate al mondo della cannabis. Come si fa? Facile: si costruisce un network di transazioni digitali (in modo da opporsi a quelle bancarie) e si elimina la questione ‘contanti’.
Si chiamano Ico, e sono specifiche per l’erba: nascono nel 2014 con l’esempio di Potcoin, una delle più diffuse del settore, ma rimasta per tanto tempo nel dimenticatoio. Fortuna che poi ci ha pensato Dennis Rodman, la stella dell’NBA – testimonial sui generis, anche lui -, a portarla in giro per la Corea del Nord e ad attirare su di sé queste nuove luci del mercato delle valute digitali. Da testimonianza: oggi si possono comprare in circa 800 località di 35 paesi grazie a General Bytes, tra i migliori sportelli di Bitcoin nel mondo.
Attenzione, poi, alla crescita di Posabit: è una startup di Seattle, che porta avanti una valuta usata da intermediario. Ci spieghiamo: quest’ultima serve ai clienti per acquistare la cannabis con la carta di credito. Com’è possibile? Tutto grazie a Posabit, che ha permesso l’installazione di sportelli all’interno dei negozi: lì il cliente utilizza la sua carta prelevando i bitcoin e pagandoli due dollari a transazione. Scelto il prodotto fatto di cannabis, il rivenditore è pagato in bitcoin attraverso la stessa carta di credito. E il pagamento è difatti immediato.
Esempi niente male, non c’è che dire: ma non sono loro ad essere i più famosi. No, c’è sempre Hempcoin in cima alla classifica: questo è un progetto open source che a gennaio valeva 0,55 dollari e aveva una capitalizzazione di mercato che superava i 125 milioni di dollari. Sì, la più alta di tutte. Tra le più alte delle criptovalute in generale. Come si muove? Attraverso le transazioni antecedenti: tra aziende agricole, ad esempio, che forniscono cannabis con trasformatori e rivenditori.
Così via, chiaramente: perché non finisce mica qui. Ce ne sono tante, forse troppe: di sicuro arrivano in doppia cifra. Parliamo di Cannabiscoin, Phytocoin, di Budbo. Di Pavocin e Icobox. A proposito di quest’ultima: è un’azienda interessante che punta a raccogliere 65 milioni di dollari, e a farlo attraverso la sua ICO.
E l’Europa? Non perde tempo: c’è Cannabio, che opera nella cannabis terapeutica e che ha emesso cento milioni di dollari in Token, che saranno distribuiti sulla blockchain Ethereum. Due anni di raccolta, dall’inizio del 2018 a metà dicembre del 2019: se si raccoglieranno dieci milioni di Tokens (ossia 4 milioni di dollari), l’obiettivo sarà raggiunto.
Altrimenti, sarà come dice Krista Whitley, titolare di un’azienda in Nevada che si occupa proprio di monete virtuali e ‘verdi’: gli standard statali e federali porranno fine a questa bella idea. Non sarebbe la prima volta: a vincere, la burocrazia, non è affatto male.
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