Plusvalenze, IVA e quadro RW sulle Criptovalute

Plusvalenze, IVA e quadro RW sulle Criptovalute

La risposta della Direzione Regionale all’istanza d’interpello sulla tassazione delle criptovalute non si è fatta attendere. In seguito alle precisazioni dell’Agenzia delle Entrate, oggi abbiamo difatti un’idea precisa sull’emersione e sulla tassazione delle plusvalenze guadagnate dalle valute digitali.

La vera domanda, adesso, diventa un’altra: bisogna scoprire come si pone l’Agenzia delle Entrate riguardo al quadro RW della dichiarazione dei redditi. Una prima risposta arriverà a Milano, in data 8 maggio: ci sarà il convegno “Economia digitale, criptovalute e fisco” organizzato da IPSOA (Scuola di Formazione) e Il Corriere della Sera.

Stando inoltre a quanto racconta Coinmarketcap, 1.563 sarebbe il numero delle cripto scambiate per ora: l’OCSE in tal senso ha rilasciato un documento chiamato “Tax Challenges Arising from Digitalisation”, definendo le criptovalute come “bene di natura digitale”, quindi utilizzabile come mezzo di scambio. Ha un tratto importante: c’è una crittografia alla base, che serve a controllare la sicurezza delle transazioni, a regolare la creazione di nuove unità e a verificare l’effettivo trasferimento della proprietà delle unità di conto.

Le criptovalute e l’IVA

Per quanto riguarda la tassazione IVA, a sciogliere qualsiasi dubbio ci ha pensato la Corte di Giustizia: l’ha fatto con la sentenza Hedqvist, causa C-264/14, in data 22 ottobre 2015. La criptovaluta, si è affermato, non può essere qualificata ai fini dell’IVA come un bene materiale: non ha altre finalità oltre il semplice mezzo di pagamento. Da qui, il passaggio dei giudici europei: le operazioni in bitcoin beneficiano del regime di esenzione previsto dall’art.135, par. 1, lett. e, della direttiva IVA per le operazioni connesse a banconote e monete, con valore di tipo liberatorio.

C’è però un aspetto dell’IVA che porta questo tipo di tassazione a essere determinante nell’operazione di scambio di criptovalute contro beni: qui la Corte di Giustizia ha optato per la definizione del Bitcoin come bene immateriale con una prestazione di servizi (che sarebbe la cessione della criptovaluta) effettuata in corrispettivo a una cessione di beni. Per quanto riguarda invece la definizione del valore delle criptovalute, l’iter da seguire è semplice: si vede la media delle quotazioni rinvenibili sulle piattaforme online in cui avvengono le compravendite: non sono le ufficiali, ma è un’indicazione specifica dell’Agenzia delle entrate.

Gli aspetti fiscali

All’interno della risoluzione n.72/E/2016 sono stati discussi anche gli aspetti fiscali, ossia le imposte dirette e l’IVA delle criptovalute. Per l’Amministrazione finanziaria, la società può realizzare un utile soggetto a IRES e IRAP, dato in due casi:

  • se arriva l’ordine di comprare criptovalute, dalla differenza tra costo di acquisto sostenuto e corrispettivo pagato dal cliente;
  • se c’è un ordine di vendita, dalla differenza tra il corrispettivo ottenuto e il prezzo garantito al cliente.

Valorizzare bitcoin detenuti dalla società vuol dire valutarli fiscalmente al valore normale, e tutto ciò si identifica nella media delle quotazioni ufficiali rinvenibili sulle piattaforme online in cui avvengono le compravendite di bitcoin (è l’articolo 9 TUIR). Per quanto riguarda invece le vendite di bitcoin da parte di persone fisiche e non imprenditori, l’Amministrazione finanziaria ribatte, sostenendo che “le operazioni di acquisto e vendita di valuta non generano redditi imponibili mancando la finalità speculativa“.

Tornando alla sentenza Henqvist, è chiaro come la Corte di Giustizia abbia praticamente tracciato una strada sicura all’Agenzia, in modo da qualificare le criptovalute ai fini delle imposte sui redditi come le ‘valute estere’. Da qui si passa poi al campo dei redditi diversi: per il soggetto IRPEF non imprenditore scambiare criptovalute per un corrispettivo monetario o per un bene in natura vuol dire attuare per presunzione legale priva di finalità speculativa, nel caso in cui la plusvalenza dovesse derivare da uno scambio “a pronti”; se la plusvalenza deriva da una cessione a termine, la stessa è soggetta a imposta sostitutiva del 26% e va indicata nel quadro RT del modello Redditi (a condizione che la giacenza dei depositi di criptovalute detenuti dal contribuente sia superiore, secondo il cambio in euro vigente, a 51.645,69 euro per sette giorni lavorativi continui.

Le criptovalute, così, possono integrare contratti derivati e rappresentarne il sottostante: come sui futures dei bitcoin, aperti alle borse americane come quella di Chicago. In quel caso? Sono una plusvalenza soggetta a imposta sostitutiva del 26% e da dichiarare nel quadro RT del modello redditi. Sia chiaro: quest’operazione è comunque una scorciatoia, e quindi non è sicura o immune da mutamenti futuri d’interpretazione.

Tant’è: per alcuni forse sarebbe stato meglio assimilare le valute digitali con i titoli rappresentativi di merci, anche se immateriali: in questo modo le plusvalenze, anche se eseguite “a pronti”, sarebbero però meno favorevoli per il contribuente ma forse più agevoli in termini di applicazione. Di sicuro, seguirebbero un filo lofico ben preciso.

Il quadro RW

Su questo tema, non c’è ancora una posizione dell’Agenzia. Dunque, come si assoggettano le criptovalute agli obblighi di monitoraggio, e quindi alla compilazione del quadro RW della dichiarazione? L’antiriciclaggio in Italia ha una definizione di exchanger e di valuta virtuale: all’interno ci sono anche le operazioni con questo tipo di valuta, secondo l’art.1, D.L. n. 167/1990. Sugli obblighi di montaggio: indicazioni per investimenti o anche attività estere sono praticamente rappresentate dall’idoneità – potenziale – di questi, in grado di produrre un reddito imponibile. Cosa vuol dire: la potenzialità delle criptovalute di generare un reddito di tipo imponibile in riferimento al titolare – come uno scambio con beni o moneta, del tutto legale – può influenzare l’obbligo dell’indicazioni delle disponibilità del quadro RW. Le criptovalute che sono presenti negli e-wallet su exchanger esteri sono allora soggette agli obblighi di monitoraggio: tutto ciò a condizione che il contribuente ne rilevi la detenzione complessiva sempre a patto che la somma sia superiore ai 51.645,69 euro per sette giorni lavorativi continui.