La stagione del blocco delle criptovalute
È il periodo del blocco delle criptovalute. E i segnali arrivano da ‘enti’ decisamente importanti. Del tipo? Facebook ha aperto le danze da questo punto di vista, con Google che l’ha seguito a ruota. Del resto, la prima legge è quella di non pestarsi i piedi. Dunque, anche Twitter ci ha messo una pietra su: tra qualche giorno gli annunci di bitcoin – o degli stessi broker che propongono compravendita sulle loro piattaforme – cesseranno d’esistere. Ico incluse.
Ed è un cambiamento importante, del resto lo è sempre quando ci sono le valute digitali di mezzo. Figurarsi quando poi i colossi del web si uniscono su un tema. Ma cosa spinge ad accomunare i bitcoin a capi contraffatti o agli altri prodotti che possono nuocere alla salute della gente, e quindi ad essere banditi?
Perché bloccano la pubblicità della criptovalute?
Ecco: diciamo pure che le critpovalute non hanno una buona nomea: spesso la loro storia è contornata da vicende di truffe, o magari da un giro non proprio limpido di denaro. E poi la sua volatilità non ha mai aiutato a renderla stabile, sicura, a misura d’uomo. Certo: soltanto chi non conosce questo mondo ne ha davvero paura. E bandire la pubblicità online vuol dire temerli, i bitcoin. O quantomeno non sperare in una sua progressione.
Un altro punto di vista porta allo sviluppo enorme delle Ico, ossia delle offerte pubbliche di acquisto di una criptovaluta per finanziare un progetto: talvolta ha avuto un tentativo di truffa alle spalle, altre volte è stata solo ingiustamente incriminata da qualche investitore meno esperto.
A placare le voci, comunque, ci ha pensato Scott Spencer, che da un paio d’anni è il responsabile delle pubblicità sostenibili dell’azienda Google. “Nessuno ha qui una sfera di cristallo – ha dichiarato -, chissà dove andrà il futuro con queste criptovalute. Certo, abbiamo visto abbastanza danno o potenziale danno per i consumatori: è un’area a cui vogliamo avvicinarci comunque con cautela”. Parole chiare. E condivisibili.
Dalle parti di Palo Alto, e cioè di Facebook, seguono sulla stessa linea: “Questa politica è intenzionalmente ampia mentre individuiamo meglio le pratiche pubblicitarie ingannevoli e fuorvianti. Rivedremo questa politica e come la applichiamo man mano che i segnali che abbiamo migliorano”, sostiene Rob Leathern, uno dei capi del social network più popolato.
Cosa vuol dire? Che la questione va viscerata per bene, e soprattutto valutata da un team di competenti ed esperti. Soprattutto vuol dire che Google e Facebook in futuro potrebbero eliminare il bando e dare una mano alla crescita dei bitcoin. Condizionali, tutti. Capirete il perché. E lo capirete soprattutto dopo aver scoperto che grandi investitori di Facebook, tali Marc Andreessen e Peter Thiel sono a capo di aziende che vivono di crittografia. Così come David Marcus, numero uno di Facebook Messenger, che ha una sedia prenotata nel cda di Coinbase. Cos’è? Solo uno dei maggiori exchange di criptovalute al mondo.
In Italia, invece, la questione è diversa
“Di pubblicità a pagamento ne abbiamo fatta davvero poca, soltanto alcuni tentativi. Il divieto però ci sa un po’ di censura. Perché questi no, e altri magari più stupidi possono andare?”, la domanda è di Marco Amadori, amministratore delegato di inbitcoin. Che aggiunge subito dopo: “C’è però un lato positivo: ci potrebbero essere dei vantaggi. Del tipo: se ci si riferisse soltanto alle ICO false o alle valute truffa o anche a quelle piramidali, non credo possa essere efficace a proteggere un investitore che non vuole investire più tempo che denaro in un progetto sconosciuto (a lui). Ad ogni modo, il filtro non riguarda le attività delle nostre aziende: la pubblicità fatta su Facebook a pagamento, un paio di esperimenti timidi correlati all’inaugurazione di Comproeuro non ci hanno causato ancora censure o filtri”, ha proseguito Amadori.
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